Cinecittà

Nella storia degli studios incendi, razzie e un campo di concentramento.

Nel 1969, girando Satyricon, Federico Fellini abitò in un appartamento situato proprio all’interno degli studi di Cinecittà. È questa la città dove vorrei vivere disse il regista. Tra le comparse di quel film c’era anche Renato Fiacchini, noto come Renato Zero. Fellini amava ricordare che al suo primo ingresso a Cinecittà fu affascinato dall’immagine del regista Alessandro Blasetti: sospeso nel vuoto, su una poltrona Frau fissata alla gru, intento a girare con gambali di cuoio scintillanti, un foulard al collo di seta indiana, un elmo in testa, tre megafoni, quattro microfoni e una ventina di fischietti appesi al collo.

Ma, da dove viene il nome Cinecittà? Cuore pulsante del cinema italiano, il nome ebbe la meglio in una selezione che comprendeva anche “Città del Cinema” e “Cinelandia”. Gli studi nacquero dalle ceneri di un incendio agli studi Cines, nel 1935, in via Veio al quartiere Appio-Latino. La nuova società fu quindi acquistata da Carlo Roncoroni della SAISC (Soci Anonimi Italiani Stabilimenti Cinematografici), il quale investì in un immenso terreno di circa 600 mila metri quadrati, sulla via Tuscolana. È il 30 gennaio del 1936: posa della prima pietra. Poco più di un anno dopo, nel 1937, fu inaugurata la “fabbrica dei sogni”. In via Tuscolana 1055 c’è ancora la targa dedicata a: Carlo Roncoroni, realizzatore di Cinecittà. Tra il 1937 e il 1943 negli studi cinematografici romani furono girati film kolossal, commedie dei “telefoni bianchi”, ma anche opere di propaganda politica. Negli anni Cinquanta il Neorealismo italiano conquistò il mondo e diversi Oscar: il primo di questi fu Sciuscià di Vittorio De Sica (1946). Fu così che Hollywood sbarcò a Roma con le sue star e Cinecittà divenne la “Hollywood sul Tevere”.

Tuttavia la leggenda della “città del cinema” conobbe anche momenti bui. Durante la guerra, gli studios vissero il rastrellamento del quartiere Quadraro, nel 1943, dove i nazisti allestirono un campo di concentramento, portando via ben sedici vagoni merci di apparecchiature. Arrivò il momento per gli studi di diventare anche un campo profughi, finché nel 1950 fu decisa la riapertura di Cinecittà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *